Scritto da  2017-02-06

EMDR: COSA MI PORTO A CASA

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Negli ultimi tre giorni sono tornata a scuola: ho finalmente concluso la mia formazione sul metodo EMDR.

Avevo frequentato la prima parte della formazione ormai due anni fa; il primo modulo abilita - se si è già psicoterapeuti - all'applicazione della tecnica con i propri pazienti, ma specialmente nell'ultimo periodo sentivo il bisogno di "chiudere il cerchio", approfondire alcune tematiche e chiarirmi qualche dubbio. Sono contenta, però, di aver aspettato: dentro di me sapevo che solo lasciando decantare quanto appreso nella prima parte mi sarebbe stato possibile fruire al meglio della seconda. Inoltre, mi accorgo solo ora riflettendoci, forse ho finalmente deciso di sganciarmi dall'approccio del giovane psicologo italiano nei confronti della formazione: formazione continua si, preziosa e doverosa nei confronti dei pazienti, "affanno formativo", con il timore che le proprie competenze non siano mai abbastanza se confrontate con quelle dei colleghi, in un'eterna gara a chi "accumula più titoli", anche no, grazie.

Come spesso faccio con i miei pazienti, al termine di un'esperienza significativa mi piace domandarmi "che cosa mi porto a casa". I vantaggi della tecnica EMDR sono ormai ampiamente dimostrati in una grande varietà di situazioni e citati in innumerevoli siti Internet, brevemente anche in una pagina di questo. Ma io, come terapeuta e persona, in che modo mi sono arricchita? Come ripetuto più volte oggi nel corso di un'esercitazione, "cosa mi risuona di più"?

 

Questo il mio personale elenco dei motivi per cui l'EMDR "mi risuona dentro", lo sento affine al mio modo di fare terapia e di vedere la salute mentale:

1. Il grande risalto dato alle capacità autocurative della mente: capacità innate, naturali, che in particolari condizioni di sofferenza non risultano cancellate o danneggiate, ma semplicemente ostacolate

2. L'idea che le capacità di elaborazione dell'esperienza traumatica non siano inversamente proporzionali alla gravità della psicopatologia: ci sono pazienti "gravi" in grado di elaborare in modo molto più rapido ed efficace di pazienti con disturbi meno pervasivi e intensi

3. Il peso riconosciuto ai cosiddetti traumi "con la t minuscola", quali esperienze di mancata sintonizzazione affettiva con le figure di attaccamento da bambini, trascuratezza, abuso psicologico: questi traumi risultano più complessi da trattare di quelli "con la T maiuscola", ossia quelle situazioni in cui il soggetto esperisce una minaccia per la vita (o assiste a qualcuno che si trova in quella condizione) e che comprendono abusi fisici o sessuali, catastrofi naturali, incidenti aerei. Può essere più semplice, dunque, elaborare e risolvere il trauma legato all'esperienza di un terremoto che quello legato all'umiliazione da parte di un professore durante un esame, se esso risulta essere la riattivazione di esperienze negative vissute ad esempio con il proprio padre. Questo può sembrare paradossale, ma assume senso se si riflette sull'importanza che le prime esperienze di attaccamento, il modo in cui percepiamo noi stessi e il mondo tramite il rapporto con il caregiver e le sue modalità relazionali rivestono sullo sviluppo dell'individuo, di un senso di sé integro e dell'autostima.

A livello pratico, mi è stato utile approfondire alcune strategie di gestione di alcune fasi delle sedute, ad esempio dei blocchi, ossia di quelle fasi in cui al paziente non sembra venire in mente nulla e il livello di disturbo, ripensando all'evento, rimane inalterato, ed esplorare l'applicazione della tecnica, oltre al Disturbo Post-traumatico da Stress, ad altri tipi di sofferenza, quali le dipendenze e i disturbi alimentari.

Interessante anche la prospettiva rispetto ai fallimenti terapeutici, che non sono vissuti come tali ma più come dei feedback, dei segnali che non stiamo andando nella giusta direzione, o meglio stiamo insistendo nel portare il processo di elaborazione in direzioni altre da quelle già presenti in modo innato nella mente del paziente.

Oggi abbiamo concluso le esercitazioni immaginandoci di affrontare una situazione futura e lavorando sulle risorse a cui vorremmo affidarci. Uscita da lì, mi è venuto naturale ragionare sui buoni propositi per il nuovo anno "professionale": in fondo siamo solo a inizio febbraio, dovrei essere ancora in tempo! Il primo proposito è un'idea che cullo da tempo, esattamente dal 2014, anno in cui ho aperto questo sito: tenere all'interno di esso un "contenitore di idee", pensieri, riflessioni su tematiche psicologiche. Ecco quindi il primo articolo. Vediamo se riuscirò a mantenere il proposito con una certa regolarità, e in quali luoghi mi porterà la mia elaborazione...

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